venerdì 5 dicembre 2008

Gabbie di Luce

A volte, quando riesco a superare indenne o quasi le barriere di pioggia, vento e altri minimali cataclismi atmosferici che si manifestano in città, torno a casa e sento forte il peso delle catene.
Mia madre che mi guarda tornare a casa bagnato, mille anni fa e per mille anni, e si spaventa, non capisce quasi come io abbia potuto avventurarmi in quella pericolosa giungla d'acqua. Il pensiero che abbia potuto bagnarmi la fa quasi inorridire. Immediatamente si attiva per alleviare le mie pene, levare dalle mie spalle quel supplizio.
Sono tornato a casa stasera e ho indugiato un po' prima di togliermi i calzoni bagnati, constatare fino a che punto avevo assorbito la pioggia. Il corpo cercava un contatto con quel piccolo dolore che dovevo provare da bambino, un minimo senso di colpa per aver ceduto alla tentazione della pioggia.
Ora la guardo scendere innocua nei miei vestiti da casa caldi e accoglienti come dei vestiti da casa sanno essere. Il volto di mia madre è un ricordo lontano, sempre più difficile da definire; linee che si perdono nella pioggia in controluce.
Il corpo trattiene ancora un retrogusto di pioggia.
Non uscirò stasera, non voglio ammalarmi. Voglio stare un po' con le linee sfocate, i miei 10 anni, i lampioni bianchi, la minestra col parmigiano. La vita che non esiste.
Voglio stare, stasera.

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