lunedì 13 dicembre 2010

Daje de tigna

Vista dal freddo clima di crisi di un paesino del profondo e rurale west dell'irlanda, il mini sbrocco di Claudio Ranieri contro l'entourage propagandistico del nord padrone incarnato dalla redazione sportiva di SKY potrebbe far sorridere come uno dei tanti episodi della nostra italiuccia che, visti da lontano, da chi ha negli occhi altre realtà, sembrano piccoli piccoli. E forse in una certa ottica potrebbero pure esserlo. Tanto è vero che la maggior parte della stampa generica italiana minimizza, anzi mette lo sbrocco dell'allenatore di San Saba in contrapposizione con la vittoria della Roma: un titolo ripreso da più parti recitava più o meno "La Roma vince MA Ranieri litiga con SKY", come se la vittoria fosse stata "sporcata" dalla reazione ad una o più provocazioni. Avranno dato alla squadra capitolina due punti e tre quarti, vincolando il restante quarto ad un ritorno di Ranieri a Canossa? Oppure alla fine del campionato, contati i punti e definite le posizioni, la disciplinare si riserverà di decidere se validare o meno quella vittoria viziata da un colpo di realismo linguistico?
Quello che ha fatto Ranieri è stato un atto di restituzione su vari livelli: ha ridato un valore oggettivo ad alcune parole, tanto per cominciare, rimettendo al loro posto di servi blateranti di un potere economico e politico noto da tempo, quelli che nel linguaggio slavato dal politically opportune dei nostri tempi tutti chiamano giornalist sportivi, nel dettaglio un ex calciatore che ha maldestramente tentato una carriera politica nel centrosinistra, per poi recitare a soggetto le lodi di questa o quella squadra con la maglia a strisce, e un ex scribacchino mediaticamente riciclatosi sfruttando l'apparente oggetiva scientificità dei numeri nel calcio, finendo per fare esattamente l'opposto di quello che i grandi scrittori di calcio (che non nomino per non sporcare la memoria di una grande tradizione letteraria). In una parola due servi, giornalisti tanto quanto lo possono essere un minzolini o un belpietro, picchiatasti a comando, burattinetti con fili visibili e di colore variabile (all'interno di una gamma bianco rosso azzurro nero). Li ha definiti provocatori, io li avrei chiamati creatori di fango virtuale (per quanto l'odore farebbe pensare a sostanza organica differente), ha restituito alla superficie un meccanismo di servilismo che tutti conosciamo bene e che possiamo ascoltare ogni volta che determinate squadre vengono sempre comunque incensate, esaltate, adulate, con spazi e priorità che non sono minimamente paragonabili a quelli concessi al resto delle altre squadre. Rispecchiando fedelmente la mappa dei favori arbitrali, delle coperture di magheggi finanziariomafiosi vari.
E allora mi piace la tigna di Ranieri, perché si allinea con quella del napoletano ex milanista Borriello, che morde ogni pallone, che rosica e litiga coi compagni perché non gli danno il pallone, perché sono calci alla generale edilagante ipocrisia linguistica (che poi condiziona il resto della visione e delle opinioni) che vuole i servi giornalisti, i puttanieri premier, i criminali imprenditori, i poveri precari, gli assassini poliziotti che sbagliano, gli ignavi opposizione, e così via...
Se vado allo stadio é per sentire quella tigna, quell'energia nell'aria, non per vedere il fuorigioco di una mezza tibia o per capire quante volte Totti passa la palla indietro o avanti. Mi piacerebbe vivere in un mondo di pane al pane e vino al vino, dove ce ne sia abbastanza per tutti, dove la mancanza di pane e lavoro siano tali e non una temporanea vacuità di risorse da utilizzare. Fanculo! Fanculo quando bisogna dire fanculo, e senza abbassare i toni, senza sorrisi o metafore. Fanculo! Si vogliono abbassare i toni? Che si ritorni a un mondo di trasparenza e più equilibrio sociale e culturale, che o toni scenderanno da soli. Per ora fanculo a sconcerti e mauro!

giovedì 18 novembre 2010

Mi guardi, come fai sempre quando
vuoi dirmi che, soltanto una volta in più, ho sbagliato.
Non ti occupi del mio ginocchio dolorante,
della fasciatura rigida che lo costringe, della mia tristezza
nell'essere - seppure temporaneamente - invalido.

Già pensi al da farsi prossimo venturo,
alle cose che devo fare io per guarire più in fretta,
a quelle che non puoi fare tu perché io sto così;
a tutte quelle cose che ci saranno da fare
quando finalmente starò bene.
Nulla ti arriva della mia sofferenza, di quell'idea
malata che ho spesso nel fondo della mia anima
di averti deluso una volta ancora,
anche se dolore, immobilità e ginocchio sono miei.

Dici, dopo un po' che stiamo in silenzio,
che si può vivere anche coi legamenti rotti, b
asta stare attenti,
basta solo essere un po’ prudenti, non esagerare
e non pretendere troppo da se stessi -
concetti senza tempo che ricorrono come compleanni
e che come tali sto imparando lentamente a odiare.

Basta non fare percorsi accidentati, guardare
sempre dove si mettono i piedi ed evitare
di fare movimenti bruschi e non pensati; insomma,
basta rinunciare gradualmente a vivere, come hai fatto tu,
chiuso nei tuoi anni gravi e nelle tue abitudini quotidiane
cui non rinunci se non per qualche evento eccezionale.
La vita, quella di noi mortali, difficilmente riesce come un percorso netto
e se anche fosse, io, che cavallo di razza non sono mai stato,
di sicuro commetterei quell'uno o due errori
che non mi darebbero la sicurezza di passare
davanti alle tribune, testa alta, coda ondeggiante,
a ricevere l'applauso della gente.

La vita, quella di tutti i giorni, è fatta di buche
e frenate impreviste, di accelerazioni necessarie
e repentini ma inevitabili cambi di direzione,
se no si rischia di essere disarcionati troppo spesso
e troppo spesso rimanere col culo per terra.
Anche se c’è chi fa finta di stare ancora in sella
e mette la mano nella giacca
come fosse un grande condottiero

E se la vita è fatta anche di persone che volendoti accarezzare
fanno male e volendo scalciare ti rimettono in piedi,
io, nel mezzo di questo cammino, voglio avere gambe solide
come ho sempre avuto, e non essere un mezzo uomo,
con mezze gambe, su cui poter contare.

giovedì 11 novembre 2010

Lasciare, andare

per Lidia Riviello

In giorni dissestati come questi, a fatica
dal fondo della mia memoria affiora
un binocolo giocattolo che portavo con me
anche quando andavo a dormire, che a un certo punto
si ruppe.
Avevo più o meno l’età di mia figlia ora
e a quattro anni suonati è difficile accettare
che qualcosa che c’è sempre stato cessi d’assoluto di essere.
Per quel che mi riguardava potevamo anche
tenerlo così com’era, inutile alla sua funzione primaria,
lo avrei visto così come me lo aveva regalato con un sorriso
una lontana zia senza volto né più nome.
Così mio padre mi propose, non di seppellirlo,
che non avrebbe avuto aria per respirare,
ma di lasciarlo in un posto che solo noi sapevamo,
dove avrei potuto fargli visita e salutarlo ogni volta
che con la nostra 850 blu saremmo passati
a fianco del cavalcavia della Pontina, per andare
a quello che all’epoca era il nostro mare.
Era lui il mio eroe a quei tempi, e come mia figlia
ora guarda ammirata i miei tatuaggi o a come
riesco a palleggiare con tutti e due i piedi,
così mi rassicurava il fatto che capisse
la mia preoccupazione acché il binocolo trovasse
una vita diversa da quella che aveva avuto con me,
anche se da sempre per lui una cosa che non serve
si butta via.

Altre cose, altre persone avrei dovuto, mio malgrado
lasciare andare a luoghi e vite differenti, alcune
dall’oggi al niente, senza il tempo di capire
o di vederle partire, altre con lentezza impercettibile,
continuando a transitare sulla solita strada a cui
hanno cambiato il senso di marcia, finché un giorno
non ti arriva a casa una multa. Perciò realizzi.
E tra questi ci sei tu, Papà, con cui penso di parlare
senza capire che quel padre che capiva non c’è più
da molto tempo, che invece di trattenere a me
tratti sbiaditi di quell’immagine lontana, avrei dovuto
guardare la realtà, lasciarti andare ovunque tu fossi
stato intenzionato a dirigerti, come feci quel pomeriggio
con il mio cannocchiale in parte ancora buono.

Ti lascio andare adesso, prima che la vita,
più tiranna e sovrana di qualunque realtà,
lasci andare te, infine, al tuo viaggio verso quel nulla
a cui da sempre, segretamente, aneli.

venerdì 22 ottobre 2010

On a dull day in Claremorris

About one's life people are never right nor wrong,
and there is no sunny day to heal a poor heart
flooded with rain and wind's warm indifference.
When I try to look at the picture of my course
I can rely on no footnotes, no Internet entry,
no side commentary. Hardly my bathroom mirror
is willing to show me signs, day in, day out,
of the unconventional syntagma oozing away
from my body, my face, my wide open eyes.
Many readers I have met in my travelling days,
some have taken my weary legs of the sand
and others have eaten and drunk sodas
while not looking at the close-up scene with me in the back.
You have two loves, the mirror said today, and soon will be three;
one is keeping your eyes open, the second
is gently scraping wax off your shoulders
and the third is softly pulsing in the dark, awaiting
for the right moment to break into the light.
That is all you want to have on earth, all you need
for today and for tomorrow alike.

martedì 8 giugno 2010

discrasia temporanea

continuo a girovagare senza interruzioni
tra ultim'ore insignficanti e notizie popolari,
aggiornamenti di stati e assenze, forse
nell'attesa che qualcosa alla fine succeda.
ma non succede niente. il sole
continua a scaldare e seguire il suo corso.
ci metterà molto a scendere e oscurare
questo tappeto indecifrabile di nature amorfe,
così come io ci metterò il solito tempo
ad attraversare il vuoto intasato di tangenziali,
parallele alla consolare, per tornare
a casa, nel mio familiare, quotidiano ignoto.
Il distacco completo dalla sofferenza del mondo
cerco, quel tunnel di nulla da cui non si fa ritorno.

venerdì 5 febbraio 2010

slowly sluggishly calmer

slowly, sluggishly, calmer
does my boat sails these days
apparently in the direction
i always wanted it to take.

it has a long way to sail,
many bridges to meet, meetings
of waters, many to cross, yet
for the sunny time being

I enjoy my journey, sweetly rolling
slowly, sluggishly, forward.